L’ennesimo assalto alla Corona di Jurgen

Il Liverpool vola a più nove dal City, ma come ad Anfield hanno sperimentato più volte non è finita. Guardiola ringrazia Oliver, ma non è lì che l’ha persa

 

Sì, il tocco col braccio di Alexander-Arnold, da cui la ripartenza per l’1-0 di Fabinho c’è, come c’è prima quello di Bernardo Silva. Il Ponziopilatismo di Oliver e della sala Var di Heathrow viene punito subito dal coltellino svizzero Fabinho, che infila con un collo cattivissimo l’1-0 e alza la bacchetta per una sinfonia di 70′, mettendo fuori tempo le sincopi di Pep, fino alla reazione nel finale.

In quella che potrebbe essere la gara pilotale della Premier, il City si presenta con la difesa rimaneggiata – Fernandinho da centrale –  e là davanti con due che hanno conti aperti con Anfield, l’ex Sterling ed il Kun, il quale nel Merseyside pare colpito dalla macchia nera di Jack Sparrow. Klopp dall’altra parte recupera Henderson, e punta ancora su Lovren.

Si diceva del coltellino: già al sesto i Reds passano, e avviano un momentum ormai classico per loro: e infatti solo sette minuti dopo riescono a punire la linea alta del City, vanno in porta con quattro – splendidi – passaggi dettati dalla gravity e dall’intelligenza di due terzini rivoluzionari, Salah prende il tempo e incorna un 2-0 che avrebbe stonato chiunque.

Non comunque i campioni in carica, che con Aguero, De Bruyne e Sterling riescono per buoni tratti a rallentare l’uscita bassa del Liverpool, disinnescando in un primo tempo Arnold e Robertson per lasciare la giocata difficile agli encomiabili Henderson e Wijnaldum. Poche volte qualcuno è uscito così indenne dalla pressione alta dei Citizens, che si vedevano complicare la vita in fase offensiva dai raddoppi sistematici di Manè sul lato più di pensiero, quello di Bernardo.

E’ solo alla mezz’ora che De Bruyne e Angelino confezionano la prima azione vera da City, c’è la provvidenziale deviazione di un De Vrij versione pallone d’oro. Nel finale di tempo a salire in cattedra c’è il pupillo di Klopp, Wijnaldum, che riesce a gestire la pressione forsennata di Rodri e Gundogan per andare a prendere il thè col doppio vantaggio.

Nella ripresa parte con la stessa intensità il City, ma con un altro cross già al 50′ vengono fuori i vecchi difetti della contraerea quando deve marcare a uomo, e Manè si tuffa (non nel senso in cui intendeva Pep nel prepartita) anticipando Walker per il 3-0 al solito di stampo ideologico del Liverpool.

Anche nell’inferno di Anfield e virtualmente a meno nove, il City non molla con l’odiato e fischiato Sterling, e stavolta a mantenere lo status quo è una giocata d’istinto puro a firma Lovren. Da qui in poi il palleggio e i rinvii con le mani a tagliare fuori la propria trequarti di Alisson sembrano dare certezze ai Reds, ma Angelino – dopo una sortita del ben inserito Gabriel Jesus – trafigge l’area col sinistro e corona la sua prestazione con l’assist a Silva che la riapre a venti minuti dalla fine.

Klopp mantiene la difesa a quattro ma si abbassa comprensibilmente, e sposta a centrocampo Arnold i cui argomenti contro il redivivo Sterling apparivano sempre meno convincenti, buttando dentro l’esperienza di Milner. A questo punto il Manchester – che chiuderà con numeri incoraggianti – si trova nel suo habitat, e infatti nell’ultimo quarto d’ora mette insieme l’80% di possessi creando occasioni e nervosismo nei padroni di casa, con Walker che all’85’ può riaprirla definitivamente ma va alto.

Fa autocritica nel post Klopp, felice di averla vinta in primis sul piano mentale ma riconoscendo il calo degli ultimi venti minuti e puntando ancora l’attenzione su come dicembre sarà complicato e non poco per i suoi. Comprensibilmente infastidito Pep, come non nel suo stile. Dopo 30 anni e lo scivolone di Gerrard, nessuno conosce il valore della calma come il Liverpool. Eppure se può succedere, succede ad Anfield, e come scriveva il Maestro Severgnini “se i Beatles fossero stati siciliani, non avrebbero scritto Here Comes the Sun”. La Premier, come non accadeva da un po’, ha un indirizzo chiaro.

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